IL CILE: LA FATE FACILE
Il disco che riempie il vuoto di certe canzoni

Milano, 7 settembre 2017

Lorenzo Cilembrini, in arte  Il Cile sa scrivere canzoni con la rabbia e la verità di un adolescente cresciuto in un corpo scomodo, ma  con vene molto sensibili. Un ragazzo che a 12 anni pesava 100 chili e a 13, 50 e che sputava mille demoni suonando la chitarra (La fate facile).

Trovo che “Io ti davo prati di viole e tu cemento armato” sia una delle frasi più azzeccate sull’amore mai  scritta in una canzone negli ultimi 20 anni. Se mai abbiate subito un addio in uno stato di amore acceso, niente lo può raccontare come la canzone  del suo disco d’esordio Siamo morti a vent’anni. Ma il vuoto che lasciano certe canzoni e certe storie non è facile da colmare. Eppure Lorenzo al suo terzo album è tornato a respirare canzoni d’autore nonostante l’inebriante parentesi da alta classifica di Maria Salvador con J-Ax.

La fate facile, in uscita domani, è un disco che ritrova la carta vetrata degli esordi, messa a punto con un lucido disincanto e uno sguardo intenso e critico verso un’industria musicale e una vita che masticano e sputano lasciando poco tempo per respirare. Era bellissimo, canzone uscita prima dell’estate non mi aveva convinto, a metà com’era tra la volontà di dire e la voglia di restare appiccicata alla radio. Ma il disco riserva episodi importanti, con un piglio rock che provoca nella giusta misura. A partire dalla canzone che titola l’album, piena di quell’autobiografia che libera e rende meno vulnerabili.

Altro episodio di grande intensità è Il lungo addio, un saluto onirico ma definitivo alle lingue sopra i culi per due spanne di carriera e alle mode passeggere che sono peggio di un tumore…etc etc. Mamma ho riperso l’aereo che cita metaforicamente Rino Gaetano, anche se qui il cielo è sempre più nero e nessuno ormai è più sincero (con tanto di flow finale che vomita rabbia verso una ipotetica lei forse mai veramente superata).

Nella scrittura de Il Cile rimane l’ingenuità forte di chi deve ancora superare una delusione che forse una canzone potrà parzialmente sedare e la voglia importante di fare la differenza. Resistere, anche quando la voce sembra molto fuori dal coro. L’unicità può fare la differenza, senza prendersi troppo sul serio perché alla fine, per citare l’artista, siamo tutti (già) morti a 20 anni.

Paola Gallo©

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