CAPAREZZA SOLD OUT A MILANO:
Un percorso ostinato che regala il successo

Milano, 7 dicembre 2017

<<Oggi è San Nicola e quando ero piccolo arrivavano i regali, molto in anticipo sul Natale. Sono 17 anni che suono e ho sempre sperato di raggiungere un obiettivo così importante. Vedevo cantanti che in pochissimo tempo riempivano i palazzetti e mi sorprendevo...>>. E’ un Caparezza stanco ma estremamente felice quello che saluta i giornalisti in camerino dopo quasi tre ore di spettacolo. Un artista, e qui è proprio il caso di dirlo, che ha lavorato sempre con coerenza e serietà. Che sul palco dice con estrema onestà sono del 1973, ho 44 anni, e non è per niente scontato che un ultraquarantenne richiami orde di ragazzi giovanissimi che lo ascoltano con attenzione anche quando parla di dolore esistenziale, di solitudine e desolazione interiore dalla quale si esce solo affrontandola o provando ad usare Una chiave non è vero che non sei capace che non hai la chiave...

Il concerto di Caparezza è un rito straordinario, una messa laica che fa ballare, stupire, sgranare gli occhi. Uno show in cui nella prima parte si recita a soggetto tutto il nuovo Prisoner 709 senza aggiungere parole e che nella seconda, invece, parla moltissimo con canzoni del recente passato (mai quello davvero remoto) arricchite da racconti, coreografie, quadri in continuo divenire. Insomma finalmente ballerini senza nani, ma solo protagonisti giganti sul palco, a sottolineare il grande lavoro e la ricchezza dell’opera. Le canzoni dell’ultimo concept album scorrono compatte, forti come pugni. Il viaggio di un prigioniero dentro se stesso, il racconto di Michele, che guarda anche la parte in ombra. Prosopagnosia, Prisonoer 709, Confusianesimo, Una chiave (probabilmente il prossimo singolo) e l’esplosione di Ti fa stare bene fatta di luci, palloni rossi, coriandoli e felicità per finire con Autoipnotica, cerniera che divide in due il concerto: <<Ho  voluto creare una separazione netta tra la prima e la seconda parte dello spettacolo. Prima tutto Prisoner 709 senza dire una parola come se fossi prigioniero, fino all’uscita dalla bocca (Fuori dal tunnel). E poi libero. Non parlare all’inizio aiuta a sentire questa forma di repressione che poi si sgretola e diventa festa>>.

<<Quando ho cominciato, mi sono buttato direttamente sul palco, ho fatto un sacco di concerti. Quello che si vede adesso è il frutto di un percorso ostinato in questa direzione. Credo ormai di aver trovato un mio linguaggio e sono contento che con questa scelta stia ricavando questa popolarità>>. Ogni canzone è una scelta, un racconto, una coreografia. La china che diventa rifugio come la penna sul comodino di Chinatown, il quadro di Van Gogh che si costruisce e diventa struttura del palco (Mica Van Gogh) , i corvi, la navicella spaziale, la ruota, le api. Legalize the premier, Non me lo posso permettere, Goodbye malinconia e l’esplosione di Vieni a ballare in Puglia, che fa muovere e sussultare tutto il pubblico, nessuno escluso. <<Sono lusingato dal fatto che quello che faccio possa essere interessante per la generazione di giovani che viene ai miei concerti. Quando superi i 40anni non è scontato. Il fatto che ci sia ancora un interesse di fondo credo sia collegato alla genuinità di quello che faccio, visto che non vado a fare il presenzialista in Tv per ottenere qualche risultato>>.

E il contrasto tra la prima e la seconda parte, compreso il finale con Avrai ragione tu, Luna e Abiura di me è davvero evidente: <<La scelta delle canzoni della seconda parte  è legata proprio al contrasto con la prima. Non volevo vie di mezzo. Ho portato tutto ciò che era pirotecnico, ho scelto così. Mentre nella coda dei bis ho sognato un mini muscal di tre pezzi che viaggiassero da soli>>. Questa sera si chiude la prima fase del tour che riprenderà poi a febbraio con scaletta immutata ma città ancora non toccate. L’orecchio gli ha dato un po’ fastidio muovendosi sulla passerella con i volumi alti, non ha voluto risparmiarsi ma ne valeva davvero la pena. Lo spettacolo è unico in Italia: <<Nella maggior parte dei casi ai concerti vedo il muro di ledwall con le immagini che scorrono e un gruppo che suona. Io ho esasperato l’opposto, ad ogni canzone succede qualcosa e credo di avere proprio creato un mio modo di fare le cose>>. Io mi azzarderei a definirlo unico nel suo genere, grazie a quell’inquietudine che mi è così familiare e che spesso fa fare grandi cose.
Paola Gallo

 

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