LEVANTE armonizza in teatro il caos delle sue stanze interiori

 

 

Milano, 4 marzo 2018

L’ultima volta ho visto Levante in concerto  all’Alcatraz di Milano, maggio 2017, e il suo caos aveva lo sguardo acido e rabbia da vendere. Tensione alta, pochi momenti di intimità chitarra e voce. Arrangiamenti tirati alle stelle. Un concerto ruvido, da club. Quella che ho visto invece ieri sera al Teatro Dal Verme di Milano, è stata una straordinaria evoluzione del tema. Complice sicuramente la location, Claudia ha dato vita a uno spettacolo che sembra aver fatto pace con i dissidi musicali e interiori, proponendo una scaletta che continua a raccontare storie dal profondo, ma che porge le canzoni con una serenità maggiore e una grazia nuova. Una sensualità naturale delineata da un abito verde semplice e pieno della sua femminilità. La stessa che concede ad alcune canzoni come Alfonso che, con l’inserto degli archi, perde un po’ dell’originaria prepotenza, ma aggiunge punti al totalizzatore “classe da vendere“.

Gli archi guidano le scelte senza stemperare le parole. Io ti maledico ad esempio sembra più facile da digerire ma “Questo gioco vale la candela, no questo fuoco brucia nell’attesa, no ho esaurito tutta la pazienza” rimane sempre un messaggio molto chiaro come quello de Le lacrime non macchiano, subito a seguire.  Per certe storie di famiglia come Finchè morte non ci separi, Levante si chiude con la sua chitarra in un cono di garza per raccontare con la giusta intimità di una madre giovanissima votata all’amore “sedici anni e la testa giù nel cuore, sto arrivando amore…” che fece la famosa fuitina. Levante ha spesso narrato di questo fortissimo legame con la madre e di un padre scomparso troppo presto. E tutte queste immagini scorrono nelle canzoni e su un sipario trasparente che disegna forme che colorano con delicatezza le canzoni. Ma in agguato ci sono tutti i temi forti e coraggiosi dell’ultimo album: Gesù cristo sono io con il suo ostinato e ribadito no alla dipendenza affettiva e alla violenza domestica e Santa Rosalia che appoggia una canzone struggente e delicata su un tema così furiosamente doloroso come l’omofobia.

Si può fare Caos anche in teatro ma le stanze che si aprono, canzone dopo canzone, hanno il colore caldo della consapevolezza anche quando il tema è provocatorio come in Non me ne frega niente: “Se parte la rivolta combatto con lo scudo dello schermo, le armi da tastiera, di giorno sto in trincea, lancio opinioni fino a sera...”. Azzeccatissimo anche il nuovo arrangiamento di Memo che pone una questione che mi preme da sempre, un po’ come dove finiscono le papere del giovane Holden: “Dove va a finire tutto l’amore di una storia d’amore...”. Levante si muove anche a passi di danza e il risultato è proprio quello di uno spettacolo che rimane concerto ma coinvolgendo mani, piedi e naturalmente il cuore.

Nei bis c’è spazio per un momento di autentica emozione con una dedica speciale (Ciao per sempre) a un fortunato spettatore e per una versione voci, coraggio, chitarra e tamburo di Duri come me. La felicità del pubblico si tocca con mano, la musica e l’intensità dei passaggi di scaletta sono tangibili anche nei complimenti dei colleghi che la salutano nel backstage, come Eugenio Finardi e Ghemon. Che felicità avere visto crescere una cantautrice di razza come Claudia e aver assistito ad un concerto che ha saputo armonizzare senza paura tutto il caos delle stanze interiori di Levante. Uno spettacolo che non ha paura di pensare e che fa stare veramente bene.

Paola Gallo

 

 

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