ANTONIO MAGGIO si racconta da X-Factor ad Amore Pop
Intervista esclusiva

Milano, 23 gennaio 2017

All’inizio furono gli Aram Quartet, amati in tutta la loro caparbia bravura e diversità, poi l’assestamento e un percorso da solista iniziato con un’altra vittoria: a Sanremo nelle Nuove Proposte. L’oggi è Amore Pop, un singolo che anticipa nuovi percorsi discografici. Curioso, attento, intelligente cercatore di parole, Antonio Maggio è pronto per ripartire. E proprio per questo gli abbiamo chiesto di (ri)fare un po’ di strada insieme a noi.

 

Gli Aram Quartet ebbero uno dei debutti più acclamati ad X-Factor. Fattore novità, fattore Morgan. Eravate bravi e popolari con pochi compromessi. Come ti sentivi tu all’epoca?

Se ripenso a quel periodo, sembra passata davvero una vita. Anche perché, probabilmente, quella degli Aram é davvero un’altra vita artistica, lontanissima da ciò che sono e scrivo adesso. Lo vedo talmente lontano da oggi che fa quasi strano pensare a me in quel contesto. Però nella mia crescita umana é stata un’esperienza importante, una tappa della mia personale gavetta che mi ha permesso di iniziare a conoscere un mondo, quello della musica intesa come discografia, che non finisce mai di sorprenderti. All’epoca per me era tutto un gioco inconsapevole. Ero un ragazzino di appena 20 anni, che andò a fare senza nessuna pretesa un primo provino per quell’X-Factor che arrivava d’oltremanica e che ancora non si sapeva bene cosa fosse, senza mai immaginare poi di entrare in trasmissione e addirittura vincerla. I fattori poi sono stati tanti e diversi: fattore novità, fattore Morgan, ma anche fattore personalità. In Italia non c’è mai stata una grande tradizione di gruppi vocali, quindi forse piacevamo anche per l’originalità del progetto. Basti pensare che dopo di noi si é dovuto aspettare 8 anni, con quest’ultima edizione, per veder vincere di nuovo un gruppo.

Lo scioglimento del gruppo è stato un fatto naturale o necessario per la tua evoluzione?

Direi che é stato naturalmente necessario. Naturale perché é inevitabile cambiare quando si sviluppano punti di vista differenti pur guardando nella stessa direzione; necessario, invece, perché nella mia crescita ed evoluzione artistica avevo bisogno di cominciare ad esprimermi in altro modo, di raccontare altre cose in maniera più personale. La fase creativa la vivo come qualcosa di molto intimo, non facilmente condivisibile.

Psicologicamente come si esce da un gruppo? E’ un po’ come quando si esce da casa dei genitori per andare a vivere da soli?

É tutto completamente diverso. Stando soli si ha meno confronto immediato, trovi meno facce complici e forse ti mancano tante risate. Ma in compenso si ha una libertà creativa illimitata, cosa impagabile, più consapevolezza ma anche più responsabilità, proprio come quando si va a vivere da soli. Io considero l’inizio del mio vero percorso artistico proprio quello, il momento dello scioglimento del gruppo.

Anche il tuo debutto da solista è stato fortunato. Nel 2013 hai vinto il festival di Sanremo nelle nuove proposte con Mi servirebbe sapere.

Credo che ad oggi sia stato uno dei momenti più belli della mia vita, non solo artistica. Una gioia indescrivibile quanto inaspettata: vincere il Festival di Sanremo al debutto da solista, da cantautore, non succede tutti i giorni. Regge il confronto soltanto una chiacchierata con Francesco De Gregori, una sera a Lecce.

Il tuo stile di scrittura è assolutamente particolare. Le parole per te sono anche un gioco ad incastro. Ti piace sceglierle e farle “suonare”. Per chi entra in sintonia al volo è un “miracolo”, ma non temi di non essere capito da tutti?

Con gli Aram cantavo “Corro il pericolo di essere libero”. Diciamo che quello é un po’ il mio approccio alla vita, quindi anche alla scrittura delle mie canzoni. La libertà di fare ciò che più ti piace é un rischio, lo si mette in preventivo e pace. Però poi quando arriva l’affetto e il riscontro da parte del pubblico, la soddisfazione vale molto di più. D’altronde, viviamo un periodo di omologazione musicale in cui forse é più grosso il rischio di non avere una propria identità artistica. Quindi, in fin dei conti, meglio così. 

In fondo tu stesso ti definisci “Sono l’equazione che mai ti riesce chiodo schiaccia chiodo quando l’occhio non vede”. Come si riesce a farsi guardare, ascoltare in “questo è il tempo dei tanti, in cui già parlano in troppi”?

Le tue citazioni accarezzano il mio ego, grazie Paola! Credo che il modo più efficace per farsi conoscere ed apprezzare, nel mezzo di questo appiattimento musicale, sia semplicemente ritornare a parlare in prima persona: c’è bisogno di più cantautori e meno interpreti. La musica, vissuta come arte, ha bisogno di una sua completezza. Ma vedo che pian piano, in questi ultimi anni, si sta iniziando a lavorare in questa direzione: dimostrazione ne é il successo che stanno riscuotendo band o cantautori fino a poco tempo fa considerati indie, quindi di nicchia, che oggi riempiono nei loro concerti o che stanno iniziando a girare anche nelle radio. 

Giochi a calcio, Santo lunedì è stata la sigla del Processo del lunedì. Riesci ancora ad emozionarti per questo sport affidato ormai più al marketing che alle bandiere?

Ovvio che vedere squadre italiane, anche tra le più blasonate, che vanno a finire in mano a proprietari cinesi, americani o thailandesi, rende sicuramente il tutto meno romantico. Però credo che oramai possiamo farci ben poco, questo é il risultato di errori del passato che oggi subiamo. Detto ciò, il calcio é uno dei miei hobby preferiti, quando posso gioco con la Nazionale Cantanti, ci divertiamo molto e facciamo del bene con grandi eventi di solidarietà. Poi c’è da dire che io vengo da una famiglia dove si é sempre parlato tanto di calcio, con mio padre ex portiere e adesso allenatore. Perciò, ti lascio immaginare la sua gioia quando ha sentito una canzone di suo figlio come sigla di “90esimo Minuto” e del “Processo del Lunedì”: forse più grossa di quando ho vinto il Festival………

Amore Pop anticipa il tuo nuovo disco. Pop è un aggettivo a cui spesso si tende a dare una connotazione negativa. Io trovo invece che essere “popolari” sia una fortuna che tocca a pochi. Che ne pensi?

Penso che noi italiani abbiamo mille pregi, ma anche qualche difetto: ad esempio, abbiamo spesso la presunzione di storpiare il significato di alcuni termini, come appunto accade con la parola “pop”, che io credo abbia un significato bellissimo. Essere popolari vuol dire arrivare alle orecchie di tanta gente, avere quindi la possibilità di far conoscere la propria arte. L’arte esiste per essere ammirata, e quindi conosciuta. Dunque se può essere popolare una canzone, figuriamoci l’amore, che é la cosa più pop del mondo. 

“Per tutto quello che ho fatto e che ho detto di te non basterebbero chilometri di perdono, io m’incammino e ti aspetto”. Ecco come non banalizzare una canzone d’amore…

La cosa più importante non é mai l’argomento, ma come se ne parla. Portare nella scrittura il proprio modo di essere: credo sia semplicemente questo l’unico modo per non risultare mai banali, perché si é sé stessi e quindi unici. Con questa canzone voglio raccontare che l’obiettività non esiste, a maggior ragione in amore; esistono solo le eccezioni, che però nella ricerca del sentimento dovrebbero essere la normalità. 

Sei ancora deciso a farti male in amore (Mi servirebbe sapere) o sei entrato in una fase più tranquilla?

Va bene il masochismo, ma c’è un limite a tutto! Diciamo che la tranquillità in amore forse é un’utopia, così mi tranquillizzo anch’io.

Puoi darci qualche anticipazione sul nuovo disco? Speravi di poterlo presentare a Sanremo o non hai vagliato l’ipotesi? Lo guarderai?

Il nuovo disco é qualcosa che mi fa stare bene, che mi fa sorridere. “Amore Pop” é soltanto l’antipasto di quello che sarà. Sono molto felice del lavoro che sta venendo fuori, lo considero un passo molto importante per il mio percorso,  forse il più importante fino ad oggi, per più motivi. Dal lato artistico sono molto appagato, credo sia un disco maturo, il tempo aiuta a crescere, com’è nella normalità delle cose, e a prendere maggior consapevolezza di tutto. E poi ho una nuova squadra di lavoro formata da persone fantastiche, dalla Mescal di Valerio Soave, uno degli ultimi romantici della discografia italiana, al mio nuovo produttore, Diego Calvetti, col quale passo giornate intere in studio. Sanremo lo guarderò perché l’ho sempre guardato; non avrei fatto in tempo a preparare il nuovo disco in quella prospettiva, visto che mentre ti scrivo sono in studio a registrare, ma un giorno mi piacerebbe ritornarci senza dubbio. Sono legato a quel palco da ricordi ed emozioni incredibili. 

Prevedi altre collaborazioni nel tuo immediato futuro?

Sicuro, ci sto pensando da tempo e spero si potranno ascoltare già in questo disco.

Per concludere, quando ti rivedremo suonare dal vivo?

Ogni nuovo disco é la scusa giusta per stare su un palco, quindi molto presto. Ma, come avrai visto, anche in questo periodo di scrittura, in realtà, non sono stato capace di tenermi lontano dal palcoscenico. Quindi spero di poterti vedere presto in uno dei miei live. Ti abbraccio, Paola!

Paola Gallo©

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