Le battaglie di ALESSANDRO MANNARINO
in concerto a Milano

Milano, 5 aprile 2018

Dori Ghezzi in terza fila sembra lì a ricordare quanto alcune battaglie di Alessandro Mannarino siano simili a quelle di Fabrizio De Andrè: gli ultimi, gli emarginati, i migranti, gli apparenti rifiuti del mondo sono spesso i protagonisti delle sue canzoni che ieri sera ha presentato a Milano al Teatro Arcimboldi, prima delle due repliche dedicate allo spettacolo L’impero crollerà, un viaggio musicale che mette al centro  la parola impero, presente in varie canzoni, simbolo e metafora, luogo immaginario ma terribilmente reale che fa da sfondo a molte delle sue storie.

Dimenticatevi tutta la luce e il movimento  del tour dedicato ad Apriti cielo di un anno fa (qui la mia recensione) e pensate ad un racconto viscerale, un viaggio poggiato sul legno del palco con suoni affidati ad una band che non lascia alcun dettaglio in superficie. Musicisti che appaiono, illuminati da una luce fioca, dopo le prime due canzoni affrontate da Mannarino in prima persona con la chitarra e un tono vocale che arriva diretto dallo stomaco. Del resto servono tutte le note più profonde per cantare “hanno violentato la giovane ribelle si nun t’ho sarvata fiore mio c’ho le ciglia dure, posso rimedià” (Roma) o “E brindo a chi è come me ar bar della rabbia e più bevo e più sete me vie sti bicchieri so pieni de sabbia” (Il bar della rabbia). Il viaggio e i testi sono così importanti da lasciare spesso senza fiato. L’attenzione del pubblico è altissima nonostante qualche “sei bellissimo” che arriva a stemperare la tensione.

E’ bello ascoltare canzoni che passano attraverso una ricerca e che facciano sorridere anche se amaramente. Perché questo è il percorso che sa farti fare Mannarino: mostrarti la zanzara che Il carcerato cerca di ammazzare o Le stelle delle quali non si riesce a sentire il profumo. La bandiera che sventola dal palco ti fa salire a bordo anche se non ci sono certezze, ma solo cieli che si aprono su viaggi disperati. Ma in scaletta ci sono anche i brani che fanno sentire “speciali” i fan che li hanno scoperti e amati per primi: Me So Mbriacato, Bar della rabbia,  Tevere grand hotel. Verso la fine arrivano anche le danze liberatorie, le corse sotto il palco. Il teatro non impedisce al pubblico di raggiungere l’emozione palpabile di Mannarino sorpreso da tanto amore ricambiato.

Trovo che questo spettacolo sia l’ennesimo segnale di quanto Alessandro abbia definito il suo stile di cantastorie profondo, che sa usare l’ironia e quando serve il sarcasmo.  Un autore che non ha paura dei difetti del suo tempo né di raccontarli. Un essere umano con un cuore grande che sa commuoversi  della disperazione altrui e che soprattutto la sa portare su un palco con l’impegno che serve, con tutti i sorrisi e tutte le lacrime in dotazione.

Paola Gallo

 

 

 

 

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